Convention Dem, porta in faccia al relatore palestinese

Il gruppo delle ‘Donne Musulmane per Harris’ sospende la campagna.

Da New York City.

Dopo aver tenuto il primo panel dedicato alle vittime palestinesi, nella storia della Convention Democratica, il gruppo dei democratici “non allineati” puntava al palco. Ma la tragedia umanitaria, il dolore per le oltre 40 mila vittime dell’attacco Israeliano a Gaza, non hanno avuto spazio.

A Chicago, quando mancano poche ore all’ufficiale investitura di Kamala Harris a candidata alla Presidenza, l’unica concessione è stata la possibilità di un incontro a porte chiuse, mentre la richiesta di un relatore palestinese-americano non è stata accolta.

La delusione è palpabile. La trentina di delegati “non alleati” ha continuato il sit in di protesta all’esterno del United Center di Chicago, dove si sono alternati interventi di solidarietà di figure di primo piano nella battaglia per il cessate il fuoco: Cori Bush, Ilhean Omar, Alexandra Ocasio Cortez in presenza telefonica.

Nella serata di mercoledì i genitori di un ostaggio israeliano hanno potuto inviare il proprio messaggio di richiesta di aiuto, esteso a tutte le vittime coinvolte. Il fatto che invece la voce dei palestinesi venga silenziata e di fatto ignorata ha spinto le “Donne Musulmane per Harris/Walz” a fare un passo indietro, a sospendere la campagna in supporto del ticket presidenziale che tanto entusiasmo ha finora suscitato. 

La fetta di elettorato che chiede cessate il fuoco ed embargo, di fatto non ha assistito ad alcuna svolta nel passaggio di testimone tra Biden e Harris. Il gruppo delle Donne Musulmane per Harris/Walz ha affidato la propria delusione a un comunicato: “ Non possiamo continuare, soprattutto dopo che la richiesta di avere un relatore americano palestinese sul palco è stata rifiutata. I genitori degli ostaggi israeliani hanno mostrato più empatia”. 

La richiesta aveva ricevuto da subito il supporto dal sindacato United Auto Workers Union: ”Se vogliamo che la guerra a Gaza finisca, non possiamo mettere la testa sotto la sabbia o ignorare le voci dei palestinesi-americani nel Partito Democratico,” ha detto il UAW in un post su X. “Se vogliamo la pace, se vogliamo una vera democrazia e se vogliamo vincere questa elezione, il Partito Democratico deve permettere che un oratore palestinese-americano venga ascoltato dal palco della DNC stasera.”

A dicembre, il UAW è diventato il sindacato più grande a sostenere una cessazione permanente delle ostilità, unendosi al United Electrical Radio and Machine Workers of America (UE), alla Coalition of Labor Union Women (CLUW) e all’American Postal Workers Union (APWU).

La rappresentante della Georgia, Ruwa Romman, palestinese-americana e democratica, ha fatto circolare il discorso che avrebbe voluto pronunciare. In un’intervista, Romman ha dichiaratro di sentirsi come l’ultima spiaggia di questa istanza:  “Se un funzionario eletto in uno Stato chiave che è palestinese non può salire su quel palco, nessun altro può”. E così è stato, in calce il testo del suo intervento non pronunciato. 

Mi chiamo Ruwa Romman e sono onorata di essere la prima palestinese eletta a una carica pubblica nello stato della Georgia e la prima palestinese a parlare alla Convenzione Nazionale Democratica. La mia storia inizia in un piccolo villaggio vicino a Gerusalemme, chiamato Suba, da cui proviene la famiglia di mio padre. Le radici di mia madre risalgono a Al Khalil, o Hebron. I miei genitori, nati in Giordania, ci hanno portati in Georgia quando avevo otto anni, dove ora vivo con il mio meraviglioso marito e i nostri dolci animali domestici.

Crescendo, avevo un legame speciale con mio nonno. Era il mio complice nei dispetti—che si trattasse di farmi nascondere dolci dalla bodega o di infilarmi una banconota da 20 dollari in tasca con quel sorriso e cenno familiare. Era il mio punto di riferimento, ma è scomparso qualche anno fa, senza mai vedere Suba o qualsiasi parte della Palestina. Non passa giorno senza che io non lo senta la sua mancanza.

Quest’anno è stato particolarmente difficile. Mentre siamo stati testimoni morali dei massacri a Gaza, ho pensato a lui, chiedendomi se fosse questo il dolore che conosceva così bene. Quando abbiamo visto i palestinesi sfollati da un’estremità all’altra della Striscia di Gaza, volevo chiedergli come trovava la forza di percorrere tutte quelle miglia decenni fa e lasciare tutto dietro di sé.

Ma in questo dolore, ho anche visto qualcosa di profondo—una bellissima coalizione multiconfessionale, multirazziale e multigenerazionale sorgere dalla disperazione all’interno del nostro Partito Democratico. Per 320 giorni, siamo stati uniti, chiedendo di applicare le nostre leggi a amici e nemici per raggiungere un cessate il fuoco, porre fine all’uccisioni dei palestinesi, liberare tutti gli ostaggi israeliani e palestinesi, e iniziare il difficile lavoro di costruire un percorso verso una pace e sicurezza collettiva. Per questo siamo qui—membri di questo Partito Democratico impegnati per i diritti e la dignità di tutti. Ciò che facciamo qui risuona in tutto il mondo.

Diranno che è sempre stato così, che nulla può cambiare. Ma ricordate Fannie Lou Hamer—esclusa per il suo coraggio, ma che ha aperto la strada a un Partito Democratico integrato. Il suo lascito vive, ed è il suo esempio che seguiamo.

Ma non possiamo farlo da soli. Questo momento storico è pieno di promesse, ma solo se restiamo uniti. La forza più grande del nostro partito è sempre stata la nostra capacità di unirci. Alcuni vedono questo come una debolezza, ma è tempo di mostrare questa forza.

Impegniamoci l’uno con l’altro, ad eleggere la vicepresidente Harris e a sconfiggere Donald Trump, che usa la mia identità palestinese come uno sfottò. Lottiamo per le politiche da tempo dovute—dal ripristinare l’accesso all’aborto a garantire un salario dignitoso, a chiedere la fine delle guerre sconsiderate e un cessate il fuoco a Gaza. A coloro che dubitano di noi, ai cinici e ai detrattori, dico, sì possiamo—sì possiamo essere un Partito Democratico che dà priorità al finanziamento delle nostre scuole e ospedali, non a guerre infinite. Che lotta per un’America che appartiene a tutti noi—neri, marroni e bianchi, ebrei e palestinesi, tutti noi, come mi ha insegnato mio nonno, insieme.

La testimonianza dei genitori del giovane ostaggio di Hamas Hersh Goldberg -Polin nel link di PBS.

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