Elezioni Usa, occhi puntati sul Minnesota. La “Squad” Omar in corsa per la riconferma

Chi vince le primarie di questo martedì 13 agosto nel quinto distretto in Minnesota, vince anche il seggio in Congresso. Con oltre 700 mila residenti, è il distretto più popoloso degli Stati Uniti e anche quello in cui la vittoria democratica è una tradizione.  Qui corre per la riconferma Ilhan Omar, e il partito democratico svela tutte le sue contraddizioni.

La congresswoman democratica uscente è sotto attacco per le posizioni critiche su Israele e per le battaglie considerate “troppo di sinistra” dai vertici del partito (Nancy Pelosi). Si schiera per sanità pubblica, politiche energetiche Green, cancellazione del debito universitario in rappresentanza degli studenti e salario minimo a 15$.

Per batterla si sono mobilitati anche i repubblicani, che hanno lanciato un appello tra le proprie file, “Servono solo 5 mila voti, votiamo per il suo avversario e la facciamo fuori” hanno tuonato online.

Ma perché Ilhan Omar suscita tanta opposizione? 

Perché dal 2018 vince senza lobby milionarie e le battaglie che ha sostenuto al Congresso hanno svelato come certe istanze siano di fatto osteggiate anche nel partito democratico stesso. All’inizio erano quattro donne a fare la differenza, Omar insieme ad Alexandra Ocasio Cortez da New York, Rashida Tlaib in Michigan e Ayanna Presley in Massachusetts. 

L’iconico magazine New Yorker celebrò la loro entrata al Congresso con una copertina memorabile di Berry Blitt. Nella stanza del potere totalmente bianca e popolata di uomini anziani fanno irruzione, nello sgomento generale, una truppa gioiosa di donne di tanti colori e di varia estrazione.Il titolo è “Welcome to Congress!”

Un gruppo determinato e cosciente della opportunità storica che si stava aprendo. Ben presto Omar, Cortez, Tlaib, Presley strinsero un’alleanza di intenti tanto solida da ribattezzarsi “Squad”. Alla squadra, con le elezioni del 2022, si aggiunsero altri elementi: Greg Casar in Texas, Summer Lee in Pennsylvania e Delia Ramirez in Illinois. Prima erano arrivati in Congresso Jamal Bowman da New York, e Cori Bush dal Missouri, nel 2020. 

Gli “Squad” dagli scranni del Congresso hanno fatto sentire la propria voce, ed in particolare dopo il 7 Ottobre hanno catalizzato il dissenso dei giovani che hanno riempito piazze e università per fermare quello che senza esitazioni per primi hanno chiamato, il genocidio del popolo palestinese a Gaza, contestando l’occupazione israeliana dei territori palestinesi e il regime di oppressione e apartheid loro imposto, chiedendo lo stop ai finanziamenti bellici di Israele con lo slogan “Non con le mie tasse”. Una protesta capace di scuotere il sistema dalle fondamenta e indurre oggi la candidata alla presidenza Harris a mostrarsi disponibile all’ascolto per non perdere i voti della cosiddetta “Gen Z”.  

La fotografia della “Squad” Rashida Tlaib, prima donna palestinese-americana rappresentante eletta al Congresso ha fatto il giro del web: unica nell’intero ovale del Congresso, nel giorno del discorso di Netanyahu a ricordare con un cartello che il premier israeliano sia accusato di crimini di guerra dalla Corte Penale Internazionale. Tutte accuse antisemite per i vertici del partito democratico e repubblicano, e ovviamente per AIPAC, la lobby bi-partisan pro israeliana , che a dicembre 2023, ha messo a budget parecchi milioni di dollari con il preciso intento di togliere il seggio al congresso agli “Squad”, uno a uno.

Obiettivo finora raggiunto con il deputato Jamal Bowman di New York e Cori Bush del Missouri, entrambi vigorosi critici della guerra a Gaza e del suo altissimo costo in termini di vite umane e infrastrutture, ma anche di finanziamenti USA. In entrambi i casi AIPAC ha sostenuto candidati concorrenti e campagne mediatiche denigratorie. Cori Bush è stata particolarmente chiara nel denunciare il ruolo della lobby bipartisan pro israeliana nella regia della sua sconfitta. “Non me ne vado resto qui per togliervi dagli scranni del potere” ha dichiarato. Parole che sono state stigmatizzate dal presidente Biden, beneficiario per tutta la sua carriera politica del supporto economico di AIPAC, del cui ruolo si è parlato apertamente solo di recente, e con maggiore chiarezza dalla crescita della contestazione pro-palestinese in Usa. 

Ora tocca a Ilhan Omar, congresswoman uscente per il quinto distretto del Minnesota, prima donna di fede musulmana eletta, rifugiata somala diventata cittadina americana nel 2000 all’età di 17 anni, ad affrontare non solo l’esame delle urne anche l’offensiva AIPAC. Fu Omar a rompere per prima il silenzio sul ruolo di questa lobby pro israeliana del 2019, chiedendo un anno dopo l’elezione al Congresso, trasparenza sui legami con repubblicani e democratici. Venne accusata di antisemitismo e costretta a scusarsi. 

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